La violazione dei diritti umani in Tibet | Yeshe Norbu Onlus

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La violazione dei diritti umani in Tibet

La questione Tibetana

Come sempre accade quando un esercito occupa un paese straniero, l’invasione del Tibet ha avuto – e continua ad avere – pesantissime ripercussioni sulla popolazione: Tibet e diritti umani sono diventati termini antitetici.

L’invasione del Tibet è iniziata gradualmente nel 1950 e si è inasprita nel 1959 avendo come conseguenza la rivolta tibetana del 1959, che venne repressa nel sangue con uccisioni nelle strade, arresti in massa, processi farsa e interminabili anni di detenzione nelle carceri cinesi dove la tortura è una pratica abituale. I più fortunati sono stati deportati nei Laogai, i terribili campi di lavoro forzato dove i prigionieri producono una grande quantità di quei beni a basso costo che tutto il mondo compra allegramente.

Le donne tibetane erano spesso sottoposte ad aborti forzati, monaci e monache sono costretti a subire sessioni di “rieducazione patriottica”, a denunciare il Dalai Lama e a dichiarare obbedienza al Partito Comunista.

Violazione dei diritti umani in Tibet

Negli anni successivi l’esercito ha stretto sempre di più il capillare controllo poliziesco sul popolo tibetano per completare l’occupazione cinese del Tibet, che dà alla Cina il controllo su un paese grande come metà dell’Europa, ricco di materie prime e situato in una posizione strategica nel centro dell’Asia.

Si calcola che più di un milione di tibetani siano morti a causa della repressione e della carestia causata dalla collettivizzazione forzata dell’agricoltura, mentre il poco cibo prodotto veniva requisito dall’esercito di occupazione. Chi ha potuto è fuggito e così si sono formati una cinquantina di campi profughi tibetani in India e in Nepal.

La situazione in Tibet è tragicamente peggiorata durante la cosiddetta “Rivoluzione Culturale Cinese” iniziata nel 1966 e durata per molti anni, durante la quale le Guardie Rosse avevano il compito di distruggere l’identità del popolo tibetano sradicandone la cultura, le tradizioni e soprattutto la religione, per sostituirla con l’ideologia imposta dal Governo Cinese.

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Invasione del Tibet

La situazione in Tibet è tuttora drammatica perché tutte le forme di autodeterminazione che per noi sono scontate, come il diritto espressione e di dissenso pacifico, la facoltà di spostarsi liberamente, di praticare la propria religione, di conoscere e ricordare la propria storia ecc. sono sistematicamente violati.

Il Governo Cinese ha introdotto in Tibet 7 milioni di cinesi per far diventare i 6 milioni di tibetani una minoranza nella loro stessa terra natale. Chi si oppone all’occupazione cinese del Tibet viene accusato minare “l’unità della Madre Patria Cinese” o di terrorismo.

Violazione dei diritti umani in Tibet
Questione tibetana e diritti umani violati

A scuola i bambini sono indottrinati sulle meraviglie della “Pacifica Liberazione del Tibet” e sulla necessità di difenderla studiando il pensiero maoista e imparando l’uso delle armi.

Violazione dei diritti umani in Tibet

L’ONU ha emesso tre diverse risoluzioni a favore del Tibet nel 1959, 1961 e 1965, che naturalmente sono cadute nel vuoto. Dal 1986 poi, numerose risoluzioni del Congresso degli Stati Uniti e del Parlamento Europeo hanno “deplorato” la situazione esistente in Tibet e all’interno della stessa Cina, esortando il governo cinese al rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche.

  • libertà di parola e di pensiero
  • diritto riunirsi pacificamente
  • libero spostamento all’interno del paese
  • libertà di professare la propria religione
  • diritto a un processo pubblico ed equo

Il Governo Tibetano in Esilio, ispirato dai principi di non violenza del Dalai Lama, ha rinunciato alla legittima pretesa dell’indipendenza del Tibet e continua a lanciare messaggi di dialogo e proposte concrete per una convivenza pacifica tra tibetani e cinesi. L’unica richiesta è quella di un’autonomia reale che garantisca il rispetto dei diritti civili dei tibetani e della loro identità culturale, pur sotto l’autorità del governo di Pechino.

La situazione in Tibet non mostra miglioramenti e dal 2009 a oggi 133 tibetani si sono dati fuoco in piazza per far giungere la voce del Tibet alle orecchie di un mondo che non vuol sentire.

Sono atti estremi rivolti contro sé stessi che esprimono la sofferenza di un popolo oppresso, ma che rifiuta di fare violenza sugli altri per ottenere i propri diritti.